Brexit come cartina di tornasole

richpoorCredo che l’articolo “Tra padroni continentali e padroni insulari – Brexit?” pubblicato sul numero 23 di Umanità Nova fornisca molte utili informazioni e alcuni, altrettanto importanti, spunti di riflessione.
Vorrei provare ad affrontare il medesimo argomento da un altro punto di vista o, meglio,su di un altro piano e cioè su quello della relazione fra l’evento Brexit e l’evolvere della teoria politica in particolare per quel che riguarda l’affermarsi del cosiddetto sovranismo.
Come è sin troppo noto il risultato del referendum nel Regno Unito ha suscitato aperte e calorose dichiarazioni di giubilo da parte della destra di origine fascista come il Front National di Marine Le Pen in Francia e la Lega Nord di Matteo Salvini con annessi i Fratelli D’Italia di Giorgia Meloni in Italia il che potrebbe essere sufficiente a schierarsi dall’altra parte.
Se però si ha la pazienza di esaminare l’opposta fazione, quella degli europeisti, gli entusiasmi scompaiono rapidamente ed è chiaro, non che avessimo dubbi in merito, che si tratta dello scontro fra due segmenti dello stesso mondo.
Ai margini della tenzone ma anche ai margini, e a volte all’interno, delle forze dell’opposizione sociale si è sviluppata una sotterranea ma vivace corrente sovranista, fautrice cioè della riconquista della sovranità nazionale ad opera dei vari stati, appunto, nazionali come passaggio necessario alla difesa del welfare e dei diritti dei lavoratori contro il potere del capitale finanziario e dei centri di potere internazionale.
Il fatto che i sovranisti teorizzino la scissione fra capitale industriale e capitale finanziario, visto quest’ultimo come fonte di ogni male, e la rivendicazione dello stato nazione favoriscono, anche perché è comodo non fare i conti con un punto di vista che qualche problema lo pone, la tentazione si liquidarli come una variante dei rosso bruni, dei fascisti magari inconsapevoli ma sempre fascisti.
E’ mia opinione che non necessariamente una soluzione comoda sia da preferirsi ad una che richiede un maggior sforzo di comprensione anche se non penso che sia necessariamente vero il contrario.
Proviamo dunque ad affrontare il sovranismo non per ciò a cui lo si vuole assimilare ma per ciò che è.
Abbiamo visto che i sovranisti partono dalla presa d’atto del fatto che il capitale finanziario, internazionale per sua stessa natura, e i centri di potere tecnocratico internazionali anch’essi agiscono su piani che le mobilitazioni dei lavoratori e delle classi subalterne stentano ad affrontare.
Dal punto di vista empirico si tratta di una tesi che ha una certa qual verosimiglianza, è ragionevole supporre che i cittadini svizzeri abbiano sui cantoni in cui risiedono un potere di controllo e pressione maggiore di quello che hanno i francesi rispetto alla loro repubblica.
Quindi il ritorno allo stato nazionale, magari piccolo e maneggevole, può sembrare una buona soluzione per chi si propone di favorire l’efficacia delle mobilitazioni dei lavoratori e dei cittadini.
Ed è qui che il sovranismo si auto liquida. Da una parte, infatti, teorizza l’esistenza di un potere mondiale del capitale finanziario e di una serie di agenzie tecnoburocratiche dal peso rilevantissimo, per non far cenno a presunti complotti di società segrete di varia natura, e, dall’altra, propone di porre limiti a questi poteri resuscitando la forma stato precedente il secondo conflitto mondiale, una sorta di carica della cavalleria polacca contro i carri armati tedeschi all’inizio del medesimo conflitto.
Senza sposare, infatti, alcuna teoria del complotto visto che sono convinto che i complotti sono la norma nell’esercizio del dominio, immaginare che il capitale mondiale sia addomesticabile ad opera di poteri politici che, peraltro, non potrebbero che operare nei limiti loro posti dalle leggi di funzionamento dell’economia capitalistica, è mero delirio.
Insomma, i nostri simpatici abitanti dei cantoni svizzeri possono, e nessuno vuole sottrarre loro questo piacere, votare sul colore delle tapparelle ma ho seri dubbi che se si ponessero in capo di porre le mani sulle riserve valutarie delle banche svizzere, la cosa sarebbe loro permessa.
Resta la domanda del come mai teorie così balzane godano di un crescente successo nell’ambiente della sinistra non istituzionale. A mio avviso la spiegazione è sin semplice, l’immaginare un potere internazionale, meglio se semisegreto, che manovra il capitalismo mondiale è gradevole dal punto di vista letterario, da spiegazioni semplici a quanto avviene e fornisce, nel contempo, un obiettivo ed una proposta semplici, chiari, suggestivi: uscire dall’unione europea, tornare alla moneta nazionale, non pagare di debiti ecc..
Se poi si fa notare che, laddove qualcuno provasse a mettere le mani in tasca al grande capitale mondiale, se le vedrebbe tagliate e che, vista la difficoltà di questo programma, converrebbe puntare senza tappe intermedie sull’espropriazione degli espropriatori, si viene guardati come dei guastafeste e dei passatisti ma, sia come sia, qualche dubbio sul sovranismo val bene la pena di proporlo.
Per equità ritengo però che alcune considerazione vadano riservate anche agli europeisti liberaldemocratici ed illuminati.
Aq questo proposito, e considerando che io non sono, almeno nel senso corrente del termine, un democratico, ritengo di poter esprimere un’opinione non, o non troppo, sospetta sullo scarmazzo sollevato dal referendum britannico sull’uscita dall’Unione Europea.
Una serie di autorevoli commentatori hanno rilevato una cosa per la verità difficilmente confutabile e cioè che il cittadino medio, lascerei da parte le sgradevolezze sulle presunte caratteristiche ripugnanti della working class britannica, non ha le competenze necessarie per valutare gli effetti di una misura di così complessa attuazione.
Da questa straordinaria scoperta hanno desunto che su queste materie devono esprimersi le assemblee elettive e non direttamente la popolazione.
Sarebbe interessante che ci spiegassero come è possibile che una massa di minus habens incapaci di esprimersi sulle questioni generali di loro interesse possa scegliere con criterio i propri rappresentanti.
In altri termini, se è inaffidabile la “democrazia diretta” lo è, allo stesso modo e per le medesime ragioni, la democrazia parlamentare.
Ovviamente una spiegazione c’è, secondo costoro la democrazia è un sistema politico che funziona quando da loro ragione.
Al di là del fastidio, la Brexit ha avuto il pregio di indurre settori della classe dominante a dichiarare apertamente quello che, per la verità, ci era perfettamente noto: la democrazia è una favola bella, almeno a giudizio degli amanti del genere, e i primi a non crederci sono i membri delle élites del potere.
Una lezione che merita di essere presa in seria considerazione e un utile argomento nella critica ai cantori delle magnifiche sorti e progressive della democrazia repubblicana.
Cosimo Scarinzi

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